mercoledì 26 novembre 2008
Sempre meno fondi per le scuole private, ecco cosa ne pensa Vincenzo Silvano
su un argomento che tanto preme noi di Scuola Vera e della Compagnia dei Tipi Loschi:
la scuola privata
Le scuole paritarie primarie e dell’infanzia hanno saputo solo in questi giorni che non potranno disporre dell’anticipo dei contributi spettanti per l’anno scolastico 2008/2009, già stanziati dal Bilancio 2008 e già assegnati dal Ministero dell’Istruzione. Interpellate, le Direzioni scolastiche regionali, che devono provvedere a erogare le somme ai destinatari, hanno comunicato che le casse sono vuote. E’ del tutto inusuale che fondi già stanziati vengano bloccati brutalmente. Si tratta di soldi che servono alle scuole per vivere ogni giorno, soldi di prima necessità. Non si riusciranno a pagare le tredicesime agli insegnanti. La ragione è che il ministero delle Finanze ha bloccato i fondi, almeno finché non sia terminata la sessione di Bilancio.
Poiché la sessione di Bilancio è cominciata da quando è stata approvata formalmente la Legge finanziaria da parte del Consiglio dei Ministri, ci si chiede perché il ministro dell’Istruzione e il suo apparato non si siano accorti da subito dello scippo o, peggio, abbiano finto di non vederlo o, peggio ancora, abbiano, per disattenzione e sciatteria, trascurato “il particolare”.
Su questo è dunque lecito porre alcune domande:
1.Il programma di governo del centrodestra non aveva, tra i suoi punti cardine, la libertà educativa? Le promesse elettorali sono dunque carta straccia?
2.Il Governo non si era impegnato a provvedere all’introduzione di una effettiva libertà di scelta da parte delle famiglie, dopo l’approvazione dell’ordine del giorno presentato il 9 ottobre proprio su questo tema?
3.Il sottosegretario all’Economia Giuseppe Vegas non ha forse garantito ufficialmente che «i finanziamenti pubblici per le scuole paritarie verranno assicurati dell'ammontare necessario a garantirne il funzionamento a pieno regime?»
4.Non si era detto (ilsussidiario.net, 11 novembre 2008) che sarebbe stato discusso e votato un altro ordine del giorno che, oltre a chiedere i fondi per gli istituti di istruzione non statali, avrebbe posto anche la questione della piena e totale parità scolastica da raggiungere entro la fine della legislatura?
5.Non preoccupa nessuno il fatto che possano chiudere le scuole paritarie, con conseguente trasferimento di tutti gli alunni alle statali, dove il costo è dieci volte superiore?
Quale che sia la risposta a queste domande, emerge con tutta evidenza un dato culturale e perciò politico di prima grandezza: che i temi dell’istruzione e dell’educazione non sono al primo posto nell’agenda del governo. Mentre si buttano milioni di euro in improbabili salvataggi di carrozzoni clientelari, quali l’Alitalia, in nome della lisa retorica della compagnia di bandiera nazionale, non si provvede alle necessità essenziali della Nazione. L’educazione è l’ossigeno del paese, è il respiro delle giovani generazioni. Non è un optional. Possiamo stringere la cinghia su tutto, risparmiare, razionalizzare, ma non morire.
Resta da constatare malinconicamente il divario tra le promesse e la realtà effettuale. Non è la prima volta. Le promesse, si sa, generano consenso, quanto più sono rutilanti e multicolori. Ma quando i fuochi d’artificio si spengono nel buio, anche il consenso ne condivide il destino.
Vincenzo Silvano
mercoledì 19 novembre 2008
Diario di Scuola
Giovedì 30 Ottobre in molte piazze italiane si è manifestato contro il decreto Gelmini, con uno sciopero generale indetto dai sindacati al quale hanno partecipato molti lavoratori del settore scuola e moltissimi ragazzi. Purtroppo però tra questi ragazzi pochi sapevano il perché di questa grande manifestazione, così il giorno prima dello sciopero (Mercoledì 29 Ottobre), essendo il rappresentante della mia classe, ho deciso di portare il testo del decreto e di discuterne durante l’assemblea. Così Mercoledì 29 nelle ultime due ore abbiamo letto il decreto insieme e ne abbiamo commentato ogni articolo. È venuta fuori una discussione molto interessante paragonando ciò che i giornali e i vari partiti sostenevano e il decreto vero e proprio. Ci abbiamo messo poco a capire che lo sciopero contro il decreto Gelmini non aveva motivazioni valide per noi studenti. Infatti l’unico articolo del decreto che riguarda gli studenti e le loro problematiche è quello riguardante il
Federico
martedì 18 novembre 2008
“Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro”
Già dallo scorso Settembre, è nata la Scuola Media Libera “G.K.Chesterton” e Sabato 15 Novembre è stata presentata a Casa San Francesco l’attività della scuola e il progetto che la Cooperativa Capitani Coraggiosi ha intrapreso e che vuole portare avanti.
Sabato 15, l’avvocato Marco Sermarini, fondatore della Compagnia dei Tipi Loschi del Beato Piergiorgio Frassati, ha presentato la proposta di una scuola diversa, che affronti in pieno il problema dell’ “Emergenza Educativa” al quale il nostro caro Papa ci ha richiamato. Marco ha parlato delle caratteristiche della scuola pubblica e privata, e ha spiegato ciò che lo preme a cercare un modello di educazione diversa per i propri figli.
“In quest’ultimo periodo l’emergenza educativa ha sovrastato tutti i problemi del nostro tempo; manca, al giorno d’oggi, una seria educazione del popolo. La nascita di questa scuola vuole far sì che si riprenda in mano l’arma del giudizio e dell’informazione. La scuola Media Libera nasce dal desiderio di alcuni genitori di proseguire anche a scuola l’esperienza educativa che vivono in famiglia, in un momento, questo, in cui ai nostri ragazzi non si dà un'educazione basata su tradizioni cattoliche e li si allontana da una vita sana e positiva. La Cooperativa Capitani Coraggiosi (che si occupa da ormai quindici anni dell’educazione dei ragazzi portando avanti doposcuola e circolini nel territorio limitrofo di San Benedetto) vuole prendere sul serio questa emergenza educativa.”
Un esempio molto caro all’avvocato è quello dello shopping: "Molte volte per comprare un oggetto a cui teniamo facciamo tante valutazioni sull' estetica o sulla convenienza; invece per l’educazione dei nostri figli spesso non facciamo una scelta accurata: il criterio più diffuso è quello della vicinanza scuola-casa, quello della lingua, delle materie insegnate o magari la severità degli insegnanti. Tutto questo purtroppo non basta. La domanda da porci è: cosa dovrà diventare mio figlio? Deve essere educato dalla scuola o deve solo assimilare delle abilità (i tanto amati skills)? Con questa scuola la Cooperativa si è messa in gioco volendo costruire uomini e donne, ma questo potrà riuscire a farlo solamente educando i ragazzi, insegnandogli che vale la pena vivere. La scuola è come una nave” continua Sermarini “in ogni nave c’è bisogno di un capitano(chi dice cosa fare), un equipaggio (i professori), una rotta per sapere dove approdare; cosa fondamentale è una parte dell’equipaggio (i bambini) che vuole crescere. Purtroppo nella scuola di oggi non c’è niente di tutto ciò, non c’è una seria dirigenza che possa scegliere i propri professori, ci sono professori che fanno ciò che vogliono, non c’è una rotta e andando di questo passo la barca non andrà lontano.”
La Scuola Media è intitolata a Gilbert Keith Chesterton, scrittore inglese vissuto tra il 1874 e il 1936, che già a suo tempo aveva previsto che il pericolo più grande che avrebbe colpito la scuola del futuro sarebbe stata la “standardizzazione verso bassi standard” (ciò che sta accadendo adesso). Bassi, infatti, sono gli standard formativi, educativi verso cui la nostra gioventù sta andando incontro.
Il progetto che Scuola Media Libera ha iniziato è quello di costruire un centro polivalente formato da:
-scuola media inferiore;
-scuola media superiore;
-centro professionale;
-centro polisportivo.
La scuola per quest’anno utilizza dei locali situati a Porto d’Ascoli (AP) in Via Valtellina, presso la Cooperativa Capitani Coraggiosi, ma questa barca vuole salpare per rotte più ambiziose; per fare questo ha bisogno di persone che desiderino un'educazione seria per i propri figli e che aiutino questa iniziativa anche con uno sforzo economico, per far sì che si possa andare “contro corrente”.
Federico
giovedì 13 novembre 2008
La vera "onda" che ha invaso ieri la Statale di Milano: studenti a convegno, col desiderio di capire
Pubblichiamo questo articolo scritto da Matteo Forte preso da IlSussidiario.net
Un’onda ha invaso ieri l’Aula Magna della Statale di Milano. Un’onda lunga. Oltre 1.600 studenti hanno partecipato per un’ora e mezza al Convegno pubblico «Università: da dove ripartire», organizzato dal Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio. Relatori: il Presidente dei rettori italiani Enrico Decleva e i senatori Nicola Rossi (Pd) e Giuseppe Valditara (PdL). Tema dell’incontro: le prospettive di riforma dell’università. Un tentativo, insomma, di andare oltre i semplici tagli, ma anche oltre le proteste strumentali di queste ultime settimane. Quella fiumana di gente che si è riversata nell’Aula Magna di via Festa del Perdono era irrefrenabile. Perché non smetteva di riempire ogni angolo della sala, ma anche perché – testarda – cercava di capire veramente come stanno le cose.
«È un momento di lavoro» spiega Stefano Verzillo, presidente Clds e moderatore. E allora giù in silenzio, a prendere appunti. Verzillo dà alcuni dati, cita delle cifre. Spiega quali leggi ci sono in ballo: quelle votate e quali ancora in discussione. Poi elenca i nodi ancora da sciogliere. A partire da questi si aprono le discussioni. Decleva, Rossi e Valditara. Altro giro di domande di Verzillo. E ancora: Decleva, Rossi e Valditara. Le teste sono sempre chine sul blocco degli appunti. Pochi gli applausi. Non perché non si condividono i contenuti dei relatori, ma perché è un momento pensato per ascoltare e comprendere, non certo per far sapere da che parte si sta. Chi era in quarta fila – dopo le prime tre zeppe di professori (circa una sessantina) – giura che ogni tanto si è girato per capire se il silenzio era dovuto al fatto che i più avessero tagliato la corda. E invece no. Tutti lì, ad ascoltare in silenzio. Chi schiacciato per terra e chi sulle scale. Chi, ancora, in piedi contro il muro, pigiato a destra e a sinistra dai suoi compagni di corso.
Parrebbe di essere di fronte alla cosiddetta “maggioranza silenziosa”, se non fosse stato per quel canto iniziale che viene eseguito all’unisono. Si tratta della «Ballata della società», scritta nel 1965 da Claudio Chieffo. «Ma l’amaro l’amaro che c’è in me, sarà mutato in allegria» cantano tutti i 1.600. «Non ho mai visto una cosa simile» commenta uno dei due senatori. In effetti questa onda è insolita. Non è spiegabile attraverso un discorso ideologico, né categorie politiche. Chi ha organizzato il Convegno e chi vi ha partecipato ha accolto in egual modo un esponente della maggioranza ed uno dell’opposizione. Nessuno dei due è stato contestato. Non c’erano rivendicazioni, ma solo uno striscione con le parole del Capo dello Stato: «Su questi temi non si cristallizzi un clima di pura contrapposizione, ma si apra all'ascolto reciproco». Non si tratta di essere Napolitano’s boys. Tutt’altro, spiega Verzillo nelle conclusioni: «Noi all’università, a questa possibilità di crescita e di formazione, ci teniamo». Per questo i passaggi più graditi dal pubblico sono due. Quando il senatore Rossi, con uno slogan - «Fare eccellere il talento laddove c’è» -, spiega che occorre riformare il diritto allo studio finanziando gli studenti, anziché gli atenei, e pagando di più un giovane ricercatore brillante piuttosto che un ordinario attempato che non ha più niente da dire. L’altro quando, sulla scia di quanto detto dall’esponente del Pd, Valditara afferma la necessità di diversificare gli stipendi del personale docente a seconda dei risultati.
Non c’è polemica, ma dialettica. Non c’è contestazione, ma desiderio di capire. Non ci sono bandiere, ma zaini, borse e appunti. È l’onda lunga dei 1.600 di ieri mattina alla Statale. Forse, perché i giornali si occupino di loro, quest’onda deve sommergere di fischi il capro espiatorio di turno, o mandare in tilt il traffico di Milano. Ma come un fiume carsico, gli universitari di ieri scorrono sotto il silenzio mediatico per riemergere improvvisamente. E non per distruggere, ma per costruire.
Matteo Forte
martedì 11 novembre 2008
"Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro" G.K.Chesterton
all' incontro di presentazione della
mercoledì 29 ottobre 2008
UNIVERSITA’ L’Onda delle proteste? Una creatura mediatica ad uso politico...
L’hanno chiamata Onda. Non si capisce se si riferiscono al movimento impulsivo e periodico che si studia in fisica o al movimento della superficie dei mari. Fatto sta che per Curzio Maltese, e gli altri promoter di Repubblica, la protesta in atto in alcuni atenei – ad opera di una esigua minoranza, eccetto che nelle università con bilanci dissestati (vedi i mille di Firenze, i 6mila di Pisa o i 7mila di Palermo) – è un’Onda che «comincia a ingrossarsi». «Non s'interessano di politica e neanche all'antipolitica» scrive il noto cronista a proposito di chi fa lezioni in piazza. Sono stanchi di essere paragonati ai sessantottini perché «occupazioni, slogan, cortei, tutta roba che puzza di vecchio». Il re-styling, però, non sembra funzionare tanto: “No alla privatizzazione”, “il governo uccide l’università pubblica”, “il sapere è gratuito”, “la vostra crisi non la pagheremo noi” si legge sugli striscioni appesi nei cortili e nelle facoltà. Ma questo non importa per Maltese e gli amici del gazzettino radical chic di De Benedetti: « E quindi vai con le trovate. Un giorno la lezione in piazza sfidando i capannelli, un altro il sit-in coi libri sulle linee del tram, un altro ancora i messaggi in bottiglia da distribuire ai passanti, poi la festa aperta a tutti (“un momento ludico ci vuole”). “Qualcuno ha un’altra idea?”. Sembra una riunione creativa di pubblicitari».
Ai disinteressati dimostranti piace sorprendere insomma. E poco importa se queste sorprese piacciono solo a loro e si trovano in quattro gatti perché, ha scritto Maltese, «riescono a far parlare di sé ogni giorno». Già. Chissà come fa qualche centinaio scarso su 60mila iscritti alla Statale di Milano a catturare l’attenzione dei media? Chissà come fanno i due o 300 sugli 86mila di Bologna? Poco importa se tra i capi della protesta c’è una «bella ragazza alta e mora, dal piglio lideristico» che risulta essere «la nipote dell'Armando Cossutta, il boss del Pci milanese, l'uomo di Mosca, il rifondatore del comunismo». O se tra i “rivoltosi” della facoltà di Scienze Politiche c’è il figlio di un noto gallerista e di una firma de L’Unità e de La Stampa.
Pare che tutto questo sia marginale. Forse in parte è vero. Non possiamo spiegare la risonanza mediatica che questi hanno solo con le loro parentele. C’è un’altra ragione. La spiega Edmondo Berselli in un editoriale di sabato scorso intitolato «Per un populismo della sinistra»: «Adesso occorre essere convincenti in profondità: non è sufficiente il cervello, la razionalità, la linearità dell´analisi. Ci vogliono anche il sangue, i polmoni, il cuore. Quel tanto di cattiveria che consente di parlare alla pancia della nostra società e di attaccare la destra sul suo stesso terreno e con realistiche possibilità di successo» (la Repubblica, 25 ottobre ’08). Probabilmente è per questo motivo che Antonio Di Pietro – il pubblico moralizzatore che può bacchettare tutti senza essere bacchettato – è intervenuto ieri pomeriggio durante un’assemblea in via Conservatorio: «Gli studenti possono oggi rappresentare validi argini, anzi una diga a questo straripare dittatoriale».
Pare, dunque, che tutto il bailamme su scuola e università sia riconducibile ad un regolamento di conti interno all’opposizione, al tentativo di una parte politica – boccheggiante ed esausta – di riprendere fiato. Resta solo una domanda: tutto ciò con l’università che c’azzecca? Non si sa. Non si sa nemmeno se l’Onda è fisica o marina, sismica o anomala. Ma sia in un caso che nell’altro è solo distruttiva. Una volta passata non rimane nulla.
Matteo Forte
UNIVERSITA’ Mille studenti chiedono di far lezione, 18 si oppongono. Il Preside chiude i corsi e vola in Messico. Non è forse una notizia?
Vi proponiamo questo articolo pubbliacato su "IlSussidiario.net" mercoledì 29 ottobre 2008: leggete e commentate.
Il Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche di giovedì 23 ottobre non ha votato alcuna forma di sospensione della didattica come invece appare in alcuni quotidiani nazionali. Al contrario, docenti e rappresentanti degli studenti hanno votato all’unanimità una mozione che auspica che «si sensibilizzi maggiormente il corpo studentesco e l’opinione pubblica (...) per evitare che prevalga l’immagine degli atenei come campi di battaglia».
L’Università oggi è effettivamente aperta. Vi sono docenti che oggi faranno lezione, ricevimento studenti, esami. Tanti altri l’avrebbero voluto fare, ma non “osano” mettersi contro il volere del preside. Se non sarà possibile svolgere alcuna attività didattica è solo per una decisione presa unicamente dal preside, partito per il Messico, senza il parere del Consiglio di Facoltà, per prevenire, così ha detto, l’intervento violento e antidemocratico di pochi. I soliti pochi che hanno avuto spazio nei servizi delle ultime settimane. Perché? C’è forse un “doppio fine” nel far credere che la protesta stia montando?
Negli ultimi due giorni c’è stata una raccolta di firme a Scienze Politiche. Si tratta di una petizione contro qualunque forma di sospensione della didattica, nella speranza che i mezzi di informazione dicano ciò che sta accadendo veramente in università. Risultato: 1025 firme raccolte in due giorni. Ci chiediamo allora: perchè vale di più lo sparuto gruppo di chi vuole interrompere le lezioni? (Si tratta infatti di 18/20 studenti iscritti a questa facoltà: tutti gli altri vengono da fuori). C’è forse un “doppio fine” nel far credere che la protesta stia montando?
All’università chi ci pensa? Paradossalmente a fare le spese di questa situazione è proprio l’università. Chi vuole veramente lavorare a una riforma del sistema viene sistematicamente censurato.
(Lista aperta Obiettivo Studenti e Unicentro di Scienze Politiche, Milano)
La scure della Gelmini sulle scuole private
Permetteteci di dire: mai deleghe in bianco. Eccovi l'articolo lucidissimo come sempre di Giorgio Vittadini su Il Riformista di ieri.
Una certa mitologia ideologica che sta alimentando lo sciopero del 30 e che viene ad arte replicata nelle manifestazioni degli studenti, afferma che i tagli alla scuola pubblica sono fatti per finanziare la scuola privata. Ma non è così. Nel “Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009 e il bilancio pluriennale per il triennio 2009-2011” la voce complessiva riguardo l’istruzione è aumenta di 656milioni di euro: all’istruzione primaria andranno oltre 242milioni di euro in più, all’istruzione secondaria di primo grado 228milioni di euro in più, all’istruzione secondaria di secondo grado 395milioni di euro in più. Invece, il capitolo di bilancio riguardo l’istituzione scolastica non statale passa dai 535milioni e 318mila euro del 2008 ai 401milioni e 924mila euro per le previsioni del 2009, ovvero 133milioni e 393mila euro in meno. Inoltre, la voce “istruzione non statale” prevede per il 2010 una cifra pari a 406milioni e 121mila euro e per il 2011 la cifra di 312milioni e 410mila euro.
C’è da precisare inoltre che la riduzione non riguarda le scuole medie e superiori, ma la scuola materna e la scuola elementare, livelli di scuola che hanno sempre ricevuto fondi statali. Sono scuole gestite da ordini religiosi o cooperative di famiglie, situate nei quartieri periferici e nei paesi a cui molte famiglie “del popolo”, spesso poco abbienti, mandano i figli perché sanno che vengono assicurati nello stesso tempo un’educazione ricca di ideali ed un alta qualità di insegnamento. Accolgono infatti ben 531.258 bambini su 1.652.689 della scuola dell’infanzia e 196.776 su 2.820.150 bambini della scuola primaria. Determinate è il loro contributo al buon livello qualitativo raggiunto dalla scuole materne ed elementari italiane, sancito dalle inchieste internazionali.
Tuttavia, alla faccia della parità giuridica sancita dal ministro Berlinguer, non solo non si mette in programma di garantire l’effettiva libertà delle famiglie di scegliere le scuole paritarie attraverso detrazioni e deduzioni fiscali, ma le si vuole affossare definitivamente attraverso questi tagli di fondi che costringeranno le scuole ad aumentare le rette aggravando ulteriormente la situazione delle famiglie o addirittura a chiudere.
La legge 133/08 impone di ridurre il debito pubblico nazionale senza ricorrere all’aumento della pressione fiscale, rispettando così gli accordi internazionali e quindi i tagli anche per il comparto dell’istruzione sono inevitabili. Tuttavia, ogni ministero può decidere liberamente come effettuare i tagli ed è quindi ancora possibile correggere questa scelta, tanto più che il taglio medio imposto dal Ministero del tesoro a ogni ministero è del 10%, mentre i tagli previsti per la scuola libera sono del 25-30%! Per questo 40 deputati della maggioranza hanno firmato un emendamento che propone di effettuare riduzioni di spesa del Ministero della pubblica istruzione in settori meno strategici. Sono pronti a votarlo anche molti deputati dell’opposizione, consci che si tratta di battaglia bipartisan di tante famiglie per la difesa della “biodiversità” della scuola italiana. Chi, sia nel mondo cattolico che in quello laico, si astiene dal prendere posizione, sia conscio di collaborare all’ulteriore desertificazione della scuola italiana, per il male di tutti.
Giorgio Vittadini
venerdì 24 ottobre 2008
Un altro articolo sull' educazione
Sembra di essere tornati ai tempi della “fantasia al potere” invocata da Marcuse nel Sessantotto. Non che questa ennesima rivolta studentesca sia paragonabile a un maggio francese, perché basta guardarne i protagonisti e sentirne gli slogan per valutarne il rango. Ma certo la fantasia dei detrattori della riforma Gelmini ha il potere di procurare l’orticaria alle persone non faziose e di buon senso. Infatti è galoppante, sfrenata e le balle che partorisce colossali, come quella della morte prematura del “tempo pieno”, o quella del prossimo licenziamento di migliaia di insegnanti riassorbiti dalle Poste. Ma una bufala tira l’altra, l’importante è far salire la tensione. Come sempre, chi procede nella direzione del cambiamento in questo Paese viene subito impallinato. Ora lo sta imparando sulla propria pelle la determinata Mariastella, insultata, offesa e derisa in tutte le piazze d’Italia. EPPURE Renato Mannheimer ha snocciolato i risultati di sondaggi da cui risulta che più dell’80% degli italiani apprezza la reintroduzione dei voti nelle scuole elementari e medie, specie quello di condotta, validissimo deterrente contro i bulli. Sulla questione del maestro unico si supera la soglia del 60% di sì. Si è fatta molta ironia sul ritorno del grembiule, ma oltre il 70% degli interpellati è favorevole. Ergo, fatta eccezione per le riserve e le proteste di chi ha veramente a cuore il destino della scuola pubblica, è evidente che è in corso una campagna denigratoria di una minoranza specializzata nella demolizione dell’avversario. E il ministro ha compreso al volo con chi aveva a che fare: la stessa mentalità e gli stessi comportamenti che hanno portato alla rovina l’Alitalia. Non a caso il ministro Gelmini ha detto che l’università rischia di fare la stessa fine, gonfiata da logiche politiche e clientelari che oggi impongono, per sopravvivere, una cura dimagrante. Ma a quanto pare, come si è visto a Fiumicino quando hostess e piloti applaudirono di fronte alla prospettiva di perdere il posto di lavoro, questa è l’Italia dei Tafazzi, dove molti insegnanti e studenti pur di fare guerra alla Gelmini sono pronti a colpirsi ripetutamente con la mazza gli attributi
Di
LUIGI BACIALLI
UNIVERSITA' Scienze politiche: 9mila iscritti, 30 occupanti, 20 giornalisti: un esempio di protesta mediatica
«Scienze Politiche: 9mila iscritti, 30 che occupano e 20 giornalisti». Così recitava un cartello appeso ieri da alcuni studenti milanesi di Scienze Politiche nel cortile di via Conservatorio – puntualmente strappato dai “rivoltosi”. La scena che si presentava agli occhi di chi giungeva nella sede distaccata della Statale di Milano era proprio questa: un manipolo di ragazzi accerchiato da inviati e cameraman. I titoli dei principali quotidiani nazionali, così come la loro versione online del pomeriggio precedente, annunciavano l’occupazione della facoltà di Scienze Politiche e l’interruzione delle lezioni. Eppure allo sprovveduto visitatore pareva che lo scoop fosse che i giornalisti non c’avessero azzeccato per niente. Le lezioni si sono svolte regolarmente. Nessuna è stata interrotta. Intorno alla trentina di persone, che nella mattinata di ieri bivaccava in mezzo al cortile di via Conservatorio, la vita procedeva tranquillamente. C’erano quasi più telecamere e fotografi che manifestanti. Del resto si era annunciata l’irruzione degli occupanti al Consiglio di facoltà delle ore 14.30. La sceneggiata è avvenuta. Il loro comunicato – tempestivamente riportato dal Corriere online – è stato letto. Subito dopo il Cdf è proseguito. Lì la maggioranza delle rappresentanze studentesche ha preso posizione contro i tentativi di blocco della didattica. In effetti un episodio di questo genere è accaduto nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 ottobre, quando un corteo di esterni ha decretato arbitrariamente la sospensione della lezione del professor Giorgio Barba Navaretti in aula 10. Che la gran parte dei manifestanti fosse estranea alla facoltà appariva chiaro dal fatto che nessuno sapeva dove dirigersi per cercare le aule. «È un’azione violenta» ha urlato Barba Navaretti ai manifestanti. A esprimergli pubblicamente solidarietà in Consiglio di facoltà ci ha pensato il professor Graglia, quello che è finito su tutti i giornali per aver improvvisato una lezione in piazza Duomo contro i tagli previsti dalla finanziaria.
La récréation (come la definì De Gaulle) di questi improbabili barricaderos continua, ormai, da una settimana. Più sui media che nella realtà. Da questo punto di vista Scienze Politiche non è stata da meno. Anche all’Accademia di Brera è toccata la stessa sorte. All’assemblea di martedì 21 ottobre, indetta dai collettivi accademici, i partecipanti – su circa 4mila iscritti – non superavano la sessantina di persone. Il Sit-in avvenuto negli uffici del direttore e la seguente occupazione non sono durati più di mezz’ora. Terminate le foto di rito per i quotidiani del giorno dopo, i dimostranti sono stati accompagnati all’uscita. La vita in questi giorni prosegue regolarmente. Nonostante il sito di Repubblica. Non stupirebbe se nei prossimi giorni i navigatori della rete potessero anche votare chi mandare a casa tra gli occupanti. Proprio come in un vero reality show.
(Matteo Forte)
lunedì 20 ottobre 2008
SCIOPERO SCUOLA DEL 30 OTTOBRE Ragioni per non aderire, ragioni per costruire
Associazione Culturale “Il Rischio Educativo”
DIESSE (Didattica e Innovazione Scolastica)
DiSAL (Dirigenti Scuole Autonome e Libere)
FOE (Federazione Opere Educative)
Il sistema scolastico italiano ha, da tempo, urgente bisogno di essere riformato: siamo ai primi posti, tra i Paesi dell’Ocse, come spesa per l’istruzione ma ciò non incide sulla qualità. Il numero di ore di lezione degli alunni supera del 20% la media dei paesi Ocse, ma ai primi posti per la qualità dell’apprendimento vi sono Paesi dove si sta a scuola molto meno. Per questo chiediamo anche all’attuale Governo, come sempre abbiamo fatto, di abbandonare una politica centralistica, perseguita con l’accanimento delle normative, che pretendono di determinare ogni singolo aspetto della vita scolastica.
Per rispondere alla emergenza educativa è indispensabile tenere conto della domanda di istruzione e di educazione che proviene dai giovani di oggi e completare il percorso verso un assetto pienamente libero e pluralistico. Per questo è prioritario dare attuazione all’autonomia costituzionale prevista per le scuole, assicurando alle stesse veri organi di governo e risorse dirette. Gli altri cambiamenti verranno come diretta conseguenza: drastica riduzione di norme; livelli essenziali di apprendimento; carriere per i professionisti della scuola con effettivo riconoscimento del merito e delle prestazioni; dirigenza scolastica messa in grado di rispondere dei risultati; moderno sistema di valutazione che aiuti le scuole a migliorare.
Una prospettiva di così ampio respiro necessita di tempi lunghi e non può essere assicurata da una singola fase di revisione degli ordinamenti o della normativa in uso. Occorre piuttosto un impegno costante per il bene comune da parte di tutte le forze sociali e politiche autenticamente riformiste. Per questo è necessario che anche i sindacati, anziché condurre battaglie di retroguardia dannose per tutti, tornino ad impegnarsi per il bene comune. Gli slogan lanciati in questi giorni e irresponsabilmente depositati sulle bocche degli studenti spinti in piazza a manifestare contro chi oggi è chiamato a governare, appaiono invece strumentali e ridicoli, tanto più perché gridati in difesa di una scuola italiana di cui tutti, in questi anni, si sono lamentati.
Le misure prese dall’attuale Governo in realtà, non si scostano, nei principi ed in molte proposte, da quelle suggerite dal Quaderno Bianco dei ministri Padoa-Schioppa e Fioroni, nella prospettiva del vincolo di pareggio entro il 2011 richiesto all’Italia dall’Unione europea. La razionalizzazione di spesa all’interno di un sistema tanto elefantiaco quanto improduttivo è urgente e indispensabile. I provvedimenti approvati a favore di interventi per l'edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti ne costituiscono un primo significativo segnale.
Non aderiamo allo sciopero del 30 ottobre perché non ne condividiamo le motivazioni. Non possiamo accettare le posizioni corporative di un certo sindacalismo che, guidato in particolare dalla CGIL, continua ad opporsi, per ragioni di mero potere, a qualsiasi serio tentativo di cambiamento del sistema di istruzione nazionale. L’istruzione è un bene di tutti: per questo è indispensabile che ogni seria riforma si costruisca attraverso il dialogo con le componenti reali della scuola che si esprimono anche nelle loro forme associative.
venerdì 17 ottobre 2008
La proposta dell' Angelus...
martedì 14 ottobre 2008
La barca è salpata
Riportiamo quest’ intervista pubblicata nel numero di Settembre del mensile della Compagnia dei Tipi Loschi del Beato Pier Giorgio Frassati “Vivere e non vivacchiare” nel quale viene presentata l’opera della Scuola Media libera intitolata a G.K.Chesterton.
E’ nata da pochi giorni, a San Benedetto del Tronto, una Scuola Media libera. Una pazzia? Forse. Ma una di quelle pazzie buone, che hanno in sé tutto per cambiare il mondo, in meglio. (Se l’obiettivo non è il mondo, che obiettivo è?). Ma cosa è questa... pazzia buona? Perchè nasce? Che senso ha, oggi? L’unico modo per saperlo è chiedere lumi a chi questa pazzia l’ha avuta in mente da anni e ora l’ha realizzata. Un vulcano di idee, sempre in avanti, difficile stargli dietro (anche per gli amici più stretti che da anni condividono con lui la bella avventura della Compagnia e poi della Cooperativa Capitani Coraggiosi), una fede trascinante, idee sempre vive e che ti scuotono,… un uomo vivo in poche parole, questo è, in una sintesi che non lo rende del tutto, l’avvocato Marco Sermarini, fondatore insieme a sua moglie Federica (che non è da meno del marito) di questa nuova Scuola Media libera. L’ho fermato un attimo per chiedergli che cosa stesse accadendo e di spiegare bene questa nuova avventura ai lettori di “Vivere”.
D: Ti conosco da anni e so che fin da quando eri giovanissimo avevi nel cuore l’idea, o meglio, l’ideale di creare una Scuola. Vent’anni dopo possiamo dire che l’hai realizzata?
R: Beh, il progetto non finisce qui: l'idea è di continuare con un Centro di Formazione Professionale e con una Scuola Superiore degni di questo nome…
D: Sempre avanti, come sempre. E io ti seguo in questa avventura,… come posso. Ma torniamo alla Scuola Media. Tu sei anche il Presidente della Compagnia dei Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati, un movimento di educazione alla fede e l’educazione dei giovani è uno di quei campi in cui tu da anni sei fortemente impegnato e che è un tutt’uno con la tua vita (e quella di tua moglie).
R: Abbiamo voluto rispondere all'appello di Papa Benedetto XVI che parla di emergenza educativa. E' quello che il Papa ha chiamato "cieco conformismo allo spirito di questo tempo" . Il rimedio a ciò sono giovani veri, educati da altri uomini che prendono sul serio la loro vita.
D: La scuola è dunque intitolata al famoso Chesterton?
R: Certo! E’ il mio autore preferito e i miei amici lo sanno: era un grande, in tutti i sensi, disse parole “sante” sul mondo di oggi e diede testimonianza della positività della vita che ci dà il cristianesimo. Gilbert Keith Chesterton, uno scrittore inglese vissuto tra il 1874 e il 1936, autore tra l’altro dei Racconti di Padre Brown. Lui ammoniva tutti da un solo grande pericolo, che oggi, secondo me, è ancor più concreto ed attivo: la standardizzazione verso bassi standard (standardization by low standards). Bassi standard formativi, ma soprattutto bassi standard educativi sono il problema della nostra gioventù, soprattutto in questo momento in cui i nostri ragazzi sono sottoposti ad un notevole bombardamento da tante parti e su tanti fronti; difatti, sempre il grande Chesterton, diceva nel 1930: “La gente è inondata, accecata, resa sorda e mentalmente paralizzata da un’alluvione di volgare e insipida esteriorità, che non lascia tempo per lo svago, il pensiero o la creazione dall’interno di sé”.
D: E’ proprio vero... Ma che bisogno c’era di fare una Scuola Media? Ce ne sono già abbastanza anche a San Benedetto del Tronto e il calo delle nascite si fa sentire… Insomma, la gente già può scegliere tra tante Scuole. Perché farne un’altra?
R: Ti rispondo facendoti un esempio. Quando usciamo di casa e decidiamo di comprare qualcosa: un vestito, un elettrodomestico, una macchina, giriamo e giriamo finché non troviamo ciò che vogliamo: quel determinato colore, quel modello, l’ultimo ritrovato, il prezzo più conveniente. Quando dobbiamo iscrivere un figlio a scuola, questo spesso neppure ci viene in mente, e quand’anche ci venisse in mente, le opzioni e le domande cadono su cose trascurabili (“quanto dista la scuola da casa?” oppure “i professori come sono?”, e questo “come sono” tutto riguarda tranne che questioni educative... se ti fanno fare l’inglese, l’informatica, se la prof è tosta o moscia) e le risposte ottenute sono spesso evanescenti e lasciate a chi risponde (e chi risponde? il primo che passa, spesso). Il contenuto delle risposte (“che scuola trova mio figlio?”) dipende sempre e solo dalla buona volontà del maestro o del professore di turno. Ci illudiamo così di scegliere, e spesso scegliamo delle impressioni che non penseremo più a verificare, e poi, se pure le verificassimo, cosa potremmo fare? Quando si ha la necessità di iscrivere figli a scuola si dovrebbe cercare la scuola migliore. Ma qual è la scuola migliore? Educare un ragazzo non significa solo insegnargli delle nozioni o a fare delle cose, degli skills, come dicono gli anglosassoni, cioè delle abilità, come se fosse scimmia da circo. Bisogna insegnargli a sapere chi è e dove va e dove andrà nella vita. La famiglia è un punto importante in tutto questo progetto educativo, del quale dovremo un giorno rendere conto non allo Stato ma a Nostro Signore, ma la famiglia da sola non può farcela, oggi meno di ieri. Ora, questa ricerca spesso è vana perché vige un principio non scritto ma purtroppo efficacissimo: la standardizzazione verso bassi standard di cui dicevamo prima.
D: La cosa messa così, mi sembra molto interessante, ma spiegati meglio. Approfondisci cioè, questo concetto di Scuola che hai in mente.
R: Una scuola è come una barca, che si avvia verso una rotta con un capitano (il dirigente), un equipaggio (i professori), una rotta (un metodo educativo!) e un luogo da raggiungere e un lavoro da svolgere (educare, cioè fare degli uomini e delle donne!). Poi ha una parte speciale dell’equipaggio: dei piccoli uomini che vogliono diventare grandi! E stanno lì solo per questo! Nel gergo marinaro potremmo chiamarli i mozzi, quelli che stanno lì per imparare a navigare come gli uomini che hanno davanti, e soprattutto vogliono sapere per dove! Ma oggi questa barca (la scuola) ha qualche problema: il capitano non può scegliere l’equipaggio, non lo può fare; non può scegliere la rotta, la rotta non verrà neppure discussa tra i membri dell’equipaggio perché non vi è rotta in discussione, la rotta non c’è perché lì si devono solo imparare delle nozioni; e poi nessuno potenzialmente è scelto in base all’approdo da raggiungere e all’avventura per cui si ritrova lì. Il nocchiero non sa dove andare, non c’è la rotta, non c’è approdo. I marinai sono solo obbligati a dire ai mozzi qualcosa del come si naviga, in realtà cose secondarie, ma mai per dove. I marinai possono anche essere in totale disaccordo tra di loro, e pure con il capitano, che può solo intervenire quando la stanno per fare troppo grossa...
D: Ora però, esci dalla metafora. Allora, concretamente…
R: Fuor di metafora, una scuola in cui il dirigente non può scegliere il personale, che non può chiedere altro che insegnare espressioni, o poesie, o grammatica, o cos’altro; che non può proporre linee educative (non skills, linee educative!) da perseguire con un metodo condiviso da tutto il suo personale e di cui chiedere conto quando esse linee ed esso metodo non verranno correttamente applicati, è come una nave in cui capitano, nocchiero, timoniere e marinai non possono scegliere la rotta, e che non ha neppure l’approdo certo. Caro capitano, con o senza di te, la nave andrà. Cari mozzi, dove andrà la nave? Questo non si sa, come diceva una vecchia canzone di Sergio Endrigo.
Una scuola così non dovrebbe avere nessuna attrattiva per nessuno, eppure non ci sogniamo di metterla in discussione o di darci un’alternativa. Una scuola in cui non si può dire cosa è bene e cosa è male, in cui non si può dire ai ragazzi: il cellulare a scuola non puoi portarlo, la vita non finisce nella playstation e il tuo unico obiettivo non può essere diventare calciatore di serie A o velina, oppure facciamo insieme un’esperienza di bene, non è una scuola. E’ qualcos’altro, ma non una scuola grazie alla quale anzitutto diventare uomini. In tutto questo scenario, che vale per tutta la scuola, la scuola media è il buco nero dell’educazione in Italia. Proprio nel momento in cui i ragazzi ti chiedono: dimmi per cosa vale la pena vivere! dimmi che vale la pena vivere! noi ci trinceriamo dietro programmi, competenze, “il mio compito finisce qui”, e così via.
D: In questa situazione che non mi sembra assolutamente irreale, allora ben venga una Scuola Media, viva e grande come... una nave. Ma chi è che comanda questa nave, che gestisce
R: La scuola è gestita dalla Società Cooperativa Sociale “Capitani Coraggiosi”, che da molti anni si occupa dell’educazione dei ragazzi attraverso doposcuola, centri ricreativi estivi, “circolini” e tante altre positive esperienze che l’hanno resa un punto di riferimento nel panorama educativo del nostro circondario. Il personale è costituito da insegnanti giovani e di esperienza, e da uno staff che sostiene lo sforzo educativo comune di insegnanti e genitori. La scuola ha la sua sede provvisoria nei locali che costituiscono la sede sociale dell’ente gestore, ampi e luminosi e facilmente raggiungibili dai mezzi pubblici.
D: Allora si parte...
R: Ora abbiamo lanciato la sfida e quattro famiglie (era agosto e in quattro coraggiosi abbiamo detto di sì, siamo tanti!) si sono coinvolte.
D: E stanno tutti in buone mani (anche mia figlia!). Allora, per concludere, ai nostri lettori diciamo…
R: Ci sono dei coraggiosi avventurieri che vogliono salpare con noi? La rotta è certa e la meta è una vita bella, da veri uomini, da uomini vivi, e non certo da caporali, pallonari o veline... Ne vale la pena anche se la scuola non sarà sotto casa!!!".
Scuola, ecco le bugie di chi vuol fare la guerra alla riforma
Si odono nuovi venti di guerra sulla scuola dove non solo la Cgil, ma anche le sigle autonome e la Cisl, minacciano uno sciopero generale contro le riforme del ministro Gelmini in approvazione in Parlamento. Hanno ragione?
Verifichiamolo. Si paventa la riduzione delle risorse come motivo di un ulteriore peggioramento della qualità della scuola italiana. Si dimentica tuttavia che siamo già nei primi posti, tra i Paesi dell’Ocse, come spesa per istruzione primaria e secondaria superiore, ma ciò non incide sulla qualità. Hanushek, studioso di sistemi scolastici, ha infatti dimostrato che non esiste correlazione tra spesa per la scuola e sua qualità. Inoltre l’Italia ha già un numero di ore di insegnamento elevato (nella fascia 7-11 anni supera del 20% la media dei Paesi Ocse), ma ai primi posti per la qualità nell’apprendimento vi sono Paesi dove si sta a scuola molto meno.
Il fatto è che, come dimostra un altro grande studioso di sistemi scolastici, Wossmann, determinante per la qualità è piuttosto il grado di autonomia delle scuole per quel che riguarda programmi, budget, determinazione dello stipendio degli insegnanti. Qui stanno le dolenti note del sistema italiano: la spesa del ministero dell’Istruzione è per il 96,98% spesa per il personale che, né preside, né chicchessia, può in alcun modo intervenire a modificare e razionalizzare.
Non solo, il numero degli insegnanti in Italia supera quello della media Ocse. Chi oppone il fatto che questo dipenda dalla particolare configurazione del territorio italiano, per cui bisogna assicurare l’istruzione anche nelle aree rurali e di montagna, dovrebbe riflettere sul fatto che la nostra legislazione è stata quantomeno di manica larga nel concedere lo status di “comune montano” a circa 4200 comuni, circa la metà di tutti i comuni italiani! Oppure deve interrogarsi sul perché anche in aree omogenee, socialmente e territorialmente, il numero di insegnanti per classe è molto diverso, segnalando che in certi posti vige un clientelismo ammantato da ragioni sociali.
Pur rispettando le garanzie sociali, occorre chiedersi inoltre se sia davvero necessario un numero così elevato di insegnanti di sostegno (oltre il 10% degli insegnanti complessivi), con un costo che è arrivato a superare i 4 miliardi di euro, al punto che lo stesso governo Prodi aveva predisposto norme ancora non attuate per un accertamento più rigoroso degli handicap. La verità è che si è usata la scuola come strumento per creare occupazione fittizia a discapito della qualità e contro gli stessi insegnanti che hanno una paga da fame e non proporzionata al merito.
Per questo la guerra dei sindacati contro una riduzione del personale, prevista soprattutto con la non sostituzione di parte del personale che andrà in pensione nei prossimi anni, è pura e prepotente battaglia corporativa che ignora, oltre alla realtà dei fatti, le associazioni professionali degli insegnanti e il giudizio di ogni cittadino, utente del servizio. Si abbia il coraggio di ignorare il loro sciopero che è “generale” solo nei proclami.
domenica 12 ottobre 2008
SCUOLA - Quante confusioni quando si parla di libertà di educazione
Leggete e diffondete. Occorre ragionare, usare la testa su queste cose, l'ignoranza è tanta anche tra di noi.
Che Repubblica sia un giornale non propriamente schierato a favore della libertà di scelta educativa, è un fatto risaputo. Nessuna meraviglia, dunque, se sfogliandolo si trova un articolo poco benevolo nei confronti di quanto il Santo Padre ha dichiarato sulla parità scolastica in occasione del Convegno del Centro Studi sulla Scuola Cattolica.
Ma quando al legittimo diritto di critica si aggiunge la falsità, nella forma di un vero e proprio capovolgimento della realtà, forse è il caso di dare una risposta.
Il “ragionamento” fatto da Marco Politi (“Scuola, nuovo appello del Papa: piena parità tra cattoliche e statali”, 26 settembre, pag. 26), infatti, oltre ad essere tendenzioso, contiene anche una vera a propria distorsione della realtà. Si chiede il bravo giornalista: perché mai il Papa chiede la parità? E’ evidente, risponde: «la Chiesa cerca ad ogni costo finanziamenti, perché gli istituti cattolici non tirano molto in termini di mercato». E che non tirino molto, è dimostrato a suo parere dal fatto che «tolti i settecentomila bambini degli asili, soltanto 269.000 ragazzi frequentano le elementari, le medie e le superiori confessionali. Gli studenti di medie e superiori sono più o meno 130 mila, perché nonostante tutto i genitori italiani preferiscono la scuola pubblica dove si mescolano tutte le credenze».
Capito? I genitori preferiscono gli asili non statali, forse perché l’educazione religiosa va bene (o è irrilevante) per i bimbi piccoli; poi però, quando si comincia a fare i conti sul serio con la realtà, la scuola statale “dove si mescolano tutte le credenze” è la soluzione migliore per tirare su persone preparate e consapevoli.
Premesso che il Papa non ha chiesto finanziamenti, ma ha a cuore –e l’ha esplicitamente affermato – la libertà di scelta educativa per le famiglie, e questa può realizzarsi benissimo anche senza dare direttamente soldi alle scuole “confessionali” (come ci dimostra l’esempio della Dote lombarda), la ragione per cui meno studenti frequentano le scuole secondarie non statali di primo e secondo grado è, molto semplicemente, un’altra: costano di più. E conseguentemente sono anche di meno. La storia d’Italia ci documenta che lo Stato ha, sin dall’inizio, espropriato le scuole di ogni ordine e grado alle congregazioni religiose, ed in particolare quelle che impartivano un’istruzione ai ragazzi più grandi, lasciando alla Chiesa solo qualche piccolo spazio nell’ambito dell’educazione dell’infanzia.
Oggi, creare e mantenere una scuola secondaria di primo o secondo grado ha un costo notevole, che necessariamente si riflette nelle rette chieste alle famiglie. Senza una reale parità economica, il confronto con le scuole statali è assolutamente impari: in termini economici si chiama concorrenza sleale. Eppure, nonostante ciò (a ribaltamento del ragionamento di Politi), ci sono decine di migliaia di famiglie che preferiscono mandare i propri figli grandi alle scuole non statali. E, fra queste (guarda un po’), tanti politici di sinistra. Chissà perché….
Lancio un guanto di sfida a Repubblica: realizziamo una vera parità economica fra statale e non statale e poi, nel giro di qualche anno, ne riparliamo. Vedremo se davvero le famiglie preferiscono le scuole dove si mescolano tutte le credenze o se, prive dell’onere di rette gravose (quando non insostenibili) per i bilanci familiari, manderanno i figli alle cosiddette “scuole confessionali”. Ma, forse, gli amici di Repubblica questo rischio non vogliono correrlo…