Vi segnaliamo un'articolo da Tracce.it riguardante la sentenza sui crocifissi nelle aule scolastiche.
La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è talmente assurda e irragionevole da sembrare surreale.
Sulla sua assurdità sono intervenuti in molti, usando una gamma di argomenti che vanno dall’antico e solenne «non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce al puro «buon senso vittima del diritto» evocato dal leader del maggiore partito della sinistra italiana.
In quel crocifisso c’è la nostra storia e la nostra cultura. Basterebbe questo a rendere contraddittoria l’idea di tirarlo via a forza dalle aule dove si tramandano storia e cultura.
E la contraddizione arriva al paradosso, se si pensa che è proprio da quella tradizione cristiana che è nata l’idea stessa di “laico”. Prima di Cristo, la laicità non esisteva. Cesare e Dio erano la stessa cosa. E fuori dal cristianesimo, in grandissima parte, continuano ad esserlo, con tutte le storture e le violenze che questo porta nella storia.
Contraddittorio, quindi. Ma anche irragionevole. Perché il crocifisso non è "solo" cultura. È segno del Mistero. Ha a che fare con il senso della vita e con il dramma del dolore. Offre a tutti un'ipotesi che va oltre il nulla in cui tutto andrebbe a finire. Estirparlo dalle aule scolastiche, eliminare questa dimensione e questa ipotesi vuol dire – questo sì – soffocare l’idea stessa di educazione. A meno che non si pensi all'educazione come a qualcosa che non c'entra con il nostro cuore, con le sue esigenze ed evidenze, con il desiderio di infinito che rende uomo un uomo. A meno che non si riduca ai minimi termini la sua ragione.
Per questo il crocifisso è un fatto che riguarda tutti. È un segno religioso, chiaro. Ma di una fede che abbraccia, non esclude. Che si offre alla libertà dell’uomo e la sollecita. Di ogni uomo, qualsiasi tradizione abbia.
«Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino», scriveva vent’anni fa un'autrice di padre ebreo e cultura di sinistra come Natalia Ginzburg, in un articolo sull’Unità che varrebbe la pena di rileggere per intero, e magari spedire a Strasburgo.
Perché c’è un altro dato che colpisce di questa vicenda. La sentenza arriva nello stesso giorno in cui, di fatto, nasce la nuova Unione europea, con l’ultima firma sotto il Trattato di Lisbona. Coincidenza, certo: la Corte non è emanazione diretta dell'Unione. Ma coincidenza infelice. Su queste basi, l'Europa non può fare molta strada.
C’è qualcosa di insano – e non da oggi – in questa tensione della cultura occidentale a recidere le sue radici, a tagliare i ponti con ciò che l'ha generata e ne sostiene, tuttora, il tessuto sociale e civile. È l’utopia di poter vivere i valori che fondano la nostra società – la libertà, l'uguaglianza, la democrazia, la stessa educazione – svuotandoli dalla loro origine viva e reale, da ciò che li ha generati: il cristianesimo. Anzi, Cristo.
Questo, in fondo, è il nichilismo. Al posto di Dio, il nulla. Pensare che su questo nulla si possano costruire dei rapporti umani, una società, un’intera civiltà, è un'illusione. E non c'è illusione di cui la realtà, prima o poi, non presenti il conto.